DEBITO PUBBLICO E INFLAZIONE, LE VERITÀ CHE NESSUNO VI DICE

Un articolo tratto dalla pagina interessenazionale.net qui di Ernesto Preatoni


Aggiungiamo che il debito pubblico, comunque la si veda e salvi i vari modi di dirlo, resta un fatto politico ed esiste davvero solo se uno Stato perde il controllo della sua moneta.


La  permanenza dell’Italia nell’euro mette a rischio la sostenibilità di lungo periodo del debito italiano. Non a caso continua a salire anno dopo  anno. Adesso è arrivato vicino al tetto di 2.300 miliardi con una incidenza sul Pil che sfiora il 133%.

Il ministro Padoan parla da anni di stabilizzazione del debito e poi del suo declino. Finora ha sempre sbagliato. L’Adusbef ha calcolato che da quando il capo economista dell’Ocse è al governo  il debito dell’Italia è cresciuto ad un ritmo di cinque miliardi al mese. Questi sono fatti. Il resto solo chiacchiere o illusioni vendute a piene mani.
Perché c’è una realtà che in molti dimenticano (o fanno finta di dimenticare):  storicamente gli Stati non hanno mai ripagato i propri debiti. Hanno sempre trovato un modo per aggirare l’ostacolo.   A pagare il conto alla fine sono stati  i creditori. Una volta i grandi banchieri che si rovinavano. Oggi i risparmiatori. Cambia solo l’allocazione. Non  la realtà. Lo Stato-debitore alla fine è sempre riuscito a sottrarsi ai suoi obblighi di rimborso. Anche perché, le poche volte che  ha provato a onorare gli obblighi, è andata a finire male. Basterà pensare alla tassa sul macinato imposta da Quintino Sella per onorare  il debito accumulato nelle guerre risorgimentali. Le sommosse popolari misero le basi perché la Destra storica andasse a casa.  E i politici, si sa, l’ultima cosa che vogliono è  lasciare il governo.
Nell’antica Roma gli imperatori, per risolvere il problema, facevano limare le monete e con l’oro ricavato ne coniavano di nuove. Oppure utilizzavano uno strumento più immediato: ripudiavano il debito. Opzione largamente utilizzata dai sovrani nei secoli successivi.  Scelta devastante per i creditori, ma anche per il debitore . Rifiutare il rimborso aveva il difetto di rendere difficile la ricerca di nuove fonti di finanziamento. Inconveniente piuttosto grave per signori  la cui occupazione principale era quella di fare la guerra ai vicini. E le armi,  si sa, costano.
In epoca moderna la pulizia è stata fatta dall’inflazione. Esattamente com’è avvenuto per l’Italia nell’ultimo secolo. Negli anni ’30 ci fu il consolidamento del debito fatto dal fascismo con un titolo che si chiamava Rendita Italia. Pagava un interesse del 5% che per i tempi era tantissimo. Era anche irredimibile. Significava che lo Stato non  avrebbe mai rimborsato il capitale. Pagava solo gli interessi.  Negli anni ’80 quando l’inflazione cominciò a galoppare il valore di quel titolo precipitò e non se ne parlò più. Negli stessi anni ’80 iniziò l’era dei Bot-people. Per finanziare il debito che stava accumulando lo Stato cominciò ad emettere titoli a brevissima scadenza: tre mesi, sei mesi e un anno.  La cedola  era molto alta ma comunque lo Stato ci guadagnava perché l’inflazione era ancora più alta e quindi ad ogni rinnovo dei titoli  i risparmiatori perdevano qualcosa. Tuttavia non se ne accorgevano perché in quel momento la girandola dell’economia girava a pieno regime. Tutti si sentivano un po’ più ricchi.
Anche al ministero del Tesoro perché pagavano un tasso reale negativo. L’interesse versato ai risparmiatori era più basso dell’inflazione e quindi a ogni giro veniva sottratta un po’ di ricchezza ai creditori. Un meccanismo non tanto dissimile da quello usato dagli imperatori romani quando facevano limare le monete d’oro e con la polvere ne coniavano di nuove.
Con l’arrivo dell’euro la situazione è completamente cambiata. L’Italia avendo perso la sua banca centrale è indebitata in una moneta straniera. Quindi ha perso la sovranità perché il livello dei tassi d’interesse non viene più deciso a Roma ma a Francoforte. Già questo crea una situazione di enorme difficoltà. Basterà pensare a quello che accadde in Argentina quando il presidente Menem decise di agganciare il pesos al dollaro per combattere l’inflazione. Una decisione sciagurata che pose le basi per la successiva dichiarazione di fallimento del Paese.  Gli Stati Uniti, infatti, decidevano la politica monetaria in base alle loro esigenze dell’economia nazionale. Dei riflessi che questo poteva avere sull’Argentina, naturalmente non si occupavano affatto. Comunque il giochino funzionò fino a quando i tassi americani rimasero passabilmente bassi. Appena la Fed cominciò a farli salire per gli argentini furono guai. Si erano legati ad un cavallo bizzoso e potente come il dollaro che andava dove voleva. Quando il legame fu rotto era troppo tardi.
Certo l’Italia non si trova nelle stesse condizioni di Buenos Aires. A capo della Bce c’è un italiano e nel consiglio d’amministrazione c’è una rappresentanza. Tuttavia i rischi sono dietro l’angolo e, come sempre, verranno fuori al prossimo rialzo dei tassi. Sarà quello il momento della resa dei conti. Si vedrà solo allora se il debito italiano è davvero sostenibile oppure bisognerà trovare misure straordinarie per ripagarlo. La sorpresa potrebbe essere molto amara.


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