Parte 3^
Nel IV secolo A.C.
nell’attuale Cina vi erano 4 Stati che risultavano i più potenti dopo le tante
guerre che si errano susseguite dal VIII secolo in poi. Questi Regni erano Qin,
Jin, Chu e Qi.
Il duca Han di Qi sviluppò
un’idea moderna ovvero lasciar stare l’etica come base di governo e sulla base
di questo fondò una nuova accademia nella sua capitale Linzi. I suoi membri
avevano il compito di consigliare il governatore di Qi su come amministrare il
paese e sconfiggere i nemici. Insomma creò il primo think tank politico della storia.
Il compito principale era
dunque studiare come rendere più efficiente l’azione politica per far
prosperare e primeggiare il proprio stato. Per far funzionare questa impresa
l’Accademia Jixia considerava prioritarie le teorie monetarie raccolte poi
nell’opera Guanzi. Queste teorie
furono composte quasi contemporaneamente alle opere di Aristotele ma
affrontavano la cosa in maniera diametralmente opposta. Il denaro, scrivevano, è uno
strumento del sovrano, una parte del suo arsenale di governo; “i re precedenti usarono il denaro per
preservare la ricchezza e i beni e regolare così le attività produttive del
popolo, e così facendo portarono pace e ordine ai Regni Sotto il Cielo”.
A questo punto come funzionava
il denaro e per quali scopi doveva impiegarlo il sovrano? Prima di tutto,
spiegavano i dotti di Jixia, il valore
del denaro non era legato al valore intrinseco del particolare oggetto
simbolico usato: “tre tipo di moneta
– perle e giada, oro, monete a forma di coltello e di vanga – non offrono
calore a chi è nudo, né possono riempire il ventre dell’affamato”
proclamava il Guazi.
Piuttosto, il valore del denaro era direttamente
proporzionale alla quantità in circolazione rispetto alla quantità dei beni
disponibili. Il ruolo del sovrano, dunque, era quello di modulare la quantità
di denaro disponibile per poter variare il valore dello standard monetario in
rapporto a quei beni. Poteva decidere politiche inflazionistiche “egli mette
denaro in circolazione, e intanto accumula beni per se, facendo così
decuplicare il prezzo d’innumerevoli beni” o deflazionistiche “se nove decimi
della moneta del regno rimangono nelle mani del governatore e solo un decimo
circola tra il popolo, il valore del denaro salirà e i prezzi di innumerevoli
beni scenderanno”, secondo le necessità dell’economia.
In effetti a quel tempo, con
economie non finanziarizzate come oggi, poteva valere la formula che oggi
conosciamo Mv=Pt cioè che la moneta in circolazione fa il prezzo, quindi che la
moneta in circolazione è uguale ai beni in circolazione. Oggi questa formula
lascia un po’ a desiderare in quanto la quantità di moneta in circolazione è
non solo esponenzialmente più alta delle merci e di tutto ciò che potrebbe
essere comprato ma non è visibile ne utilizzabile dai più (miliardi di derivati
nelle mani di chi è capace di utilizzarli che superano milioni di volte la
moneta comune, miliardi di moneta elettronica ad uso di banche private e
mercati finanziari).
Le conseguenze erano che si
aveva uno strumento per la ridistribuzione della ricchezza e del reddito tra i
sudditi del sovrano, poiché l’inflazione
eliminava i reclami dei creditori e alleviava il fardello dei debitori, dirottando la ricchezza dei primi ai
secondi, mentre la deflazione faceva
il contrario. Inoltre se coniava più moneta veniva distribuita più
ricchezza ai sudditi perché il sovrano
spendeva altra moneta mettendolo in circolazione praticamente a costo zero,
questo nell’era moderna sarà chiamato “signoraggio”. Poi, la variazione di
denaro in circolo regolava l’attività economica rendendo più o meno disponibile
lo strumento primario di organizzazione e conduzione dei commerci. Lo scopo del governo doveva essere una
società armoniosa per conseguire la quale lo strumento monetario era uno strumento potente.
Serviva però una cosa
fondamentale: che il sovrano avesse sul
denaro un controllo esclusivo. Se qualcun altro avesse avuto il potere nel
regno di emettere moneta, il sistema non avrebbe più funzionato.
Non funzionò subito, ci furono
vari vicissitudini legate all’utilizzo a volte improprio di tali dottrine. Ma
il suo impianto fu capito, la moneta come strumento di governo del sovrano che
a volte seppero utilizzarlo e a volte no.
(le informazioni “cinesi” di quanto
sopra sono prese per la maggior parte, sinteticamente, dai lavori di Felix
Martin e dal libro Denaro).
Anche Ezra Pound, nel libro
ABC dell’Economia, diceva che il denaro non è una merce, ma una convenzione
sociale. Anche il lavoro non è una merce, ma il fondamento della ricchezza ed
il modo più logico per distribuire ricchezza è distribuire lavoro; lo Stato dispone del credito, non è
quindi necessario che si indebiti.
Diceva che l’economia reale è
dipendente dalla finanza mentre questa dovrebbe essere solo uno strumento per
sostenere la prima. Quindi per lui, come Gesell, andava tassato il denaro
stesso e non il lavoro con un sistema che, in breve, prevedeva il suo
deprezzamento man mano che veniva detenuto per troppo tempo e non speso.
Ovviamente diceva che le
banche non avrebbero dovuto creare denaro.
In sintesi, facciamo un passo
avanti: la moneta non è neutra e il baratto c’entra sempre di meno con questa
bestia.
TO BE CONTINUED …
(Caro Claudio B. la questione si allunga sempre di più, del resto, come diceva il buon Aristotele - più o meno -, l'informazione bisogna capirla altrimenti ...)
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