I CERTIFICATI DI CREDITO FISCALE DI MARCO CATTANEO


Di seguito ben tre articoli di Marco Cattaneo tratti dal sole24ore sul tema CCF. Una proposta innovativa che da più di tre anni propone e che oggi sembra stia trovando seguito... speriamo!

1) ..dal Sole24Ore del 19 gennaio 2016 
CERTIFICATI DI CREDITO FISCALE PER RISOLVERE LE DISFUNZIONALITA’ DELL’EURO (parte prima)

2)..dal Sole24Ore del 3 ottobre 2013 
COME SI ESCE DALLA CRISI? LE PROPOSTE DI ECONOMISTI E INVESTITORI CHE LA PENSANO FUORI DAL COMUNE

3)..dal Sole24Ore del 31 ottobre 2012

CERTIFICATI DI CREDITO PER IL CUNEO


Pubblichiamo il primo di due post a cura di Marco Cattaneo. Laureato a pieni voti in economia aziendale (Bocconi 1985) tra il 1985 e il 1994, Cattaneo ha ricoperto cariche nell’area pianificazione, controllo, finanza aziendale e finanza straordinaria presso il Gruppo Montedison. Dal 1995 gestisce fondi e rappresenta primari investitori internazionali in operazioni di private equity e credito strutturato. Ha pubblicato libri e articoli su temi di politica economica, sistemi monetari, valutazione d’azienda, pianificazione e controllo di gestione. Dal 2012 promuove il progetto “Moneta Fiscale / Certificati di Credito Fiscale”, finalizzato a superare le disfunzioni dell’attuale sistema monetario europeo. Collabora a tal fine con un gruppo di studiosi e ricercatori comprendente tra gli altri Biagio Bossone, Massimo Costa, Enrico Grazzini, Stefano Sylos Labini, Giovanni Zibordi. Del team faceva parte il sociologo Luciano Gallino. Con questo post Econopoly intende avviare un dibattito su proposte e soluzioni per superare la grande crisi iniziata nel 2008 –

1) CERTIFICATI DI CREDITO FISCALE PER RISOLVERE LE DISFUNZIONALITA’ DELL’EURO (parte prima)
di Marco Cattaneo
La troppo timida ripresa dell’economia italiana
I dati preliminari 2015 indicano che il PIL reale italiano è cresciuto dello 0,8%, per la prima volta dopo tre anni di calo (2012, 2013 e 2014). L’aggiornamento del Documento di Economia e Finanza (DEF) pubblicato il 18 settembre 2015 a cura del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF) prevede un +1,6% per il 2016 e per il 2017. Istat, Bankitalia, FMI e Commissione Europea sono più cauti, ma condividono comunque l’ipotesi di accelerazione della crescita.
Naturalmente, essersi messi alle spalle la lunga catena di decrementi di PIL è, in sé, una buona notizia. Ma si tratta di ritmi di recupero molto modesti se messi a confronto con il declino (10%) registrato tra il 2008 e il 2014, e insufficienti a riassorbire, o quantomeno a ridurre in misura apprezzabile, il calo di occupazione e l’”output gap” che si sono prodotti in tutti questi anni.
Il potenziale dell’economia italiana è nettamente superiore, e per conseguirlo l’elemento essenziale che manca all’attuale mix di politiche economiche è costituito da azioni di stimolo della domanda decisamente più significative di quelle messe in cantiere dal governo Renzi.
Renzi e il ministro Padoan hanno varato un programma di riduzioni fiscali (IMU e TASI sulla prima casa e successivamente imposte dirette su individui e imprese) distribuito tra il 2016 e il 2017.
L’entità di queste riduzioni è tuttavia modesta, a causa delle maglie strette imposte dai trattati europei. Il Governo sta negoziando la concessione di margini di flessibilità rispetto ai tempi di riduzione del rapporto deficit pubblico / PIL attualmente previsti, ma si tratta di decimali. Voltare definitivamente l’angolo e lasciarsi alle spalle il contesto depressivo in cui l’Italia si trova ormai da sette anni richiede un’azione decisamente più incisiva.
La necessaria azione sulla domanda: attuarla con i CCF
Effettuare politiche espansive della domanda in Italia (e in altri paesi dell’Eurozona) è un problema a causa delle caratteristiche dell’attuale unione monetaria. Una politica espansiva si traduce, in buona sostanza, nell’introdurre nel sistema economico una maggiore quantità di potere d’acquisto, mettendola a disposizione degli operatori che si muovono nell’ambito dell’economia reale: cittadini e aziende. E questa immissione può avvenire diminuendo le tasse, aumentando i trasferimenti o incrementando la spesa pubblica statale diretta.
Il problema è che queste azioni espansive, in un’unione monetaria a cui appartengono diciannove Paesi, non servono dappertutto, o comunque non nella stessa misura. I Paesi dove queste azioni non sono oggi necessarie (o lo sono di meno) vedono quindi negativamente l’espansione dell’indebitamento degli altri, temendo che la crescita del debito crei rischi di default e di conseguenza necessità di salvataggi e/o gravi turbolenze nei sistemi finanziari e bancari dell’Eurozona.
L’alternativa è il finanziamento dei deficit mediante emissione monetaria da parte della BCE. Anche questo crea però una preoccupazione, connessa all’incremento della circolazione monetaria totale (degli euro in mano ai cittadini, in altre parole) nel momento in cui un euro ha potere liberatorio e di soddisfacimento di obbligazioni finanziarie sia nei paesi in cui un determinato incremento del potere d’acquisto è necessario (come l’Italia) sia in quelli in cui non lo è (come la Germania). Il timore è che l’espansione monetaria opportuna per una parte dell’Eurozona possa essere eccessiva con riferimento alle esigenze di altri Paesi.
I CCF (Certificati di Credito Fiscale) costituiscono una risposta e una soluzione a questi problemi.
Si tratta di titoli che danno diritto al loro possessore di conseguire riduzioni di pagamenti altrimenti dovuti alla pubblica amministrazione del paese emittente, a qualsiasi titolo (tasse, imposte, contributi, sanzioni, ecc.).
Vengono a volte definiti “moneta fiscale” in quanto si tratta di titoli validi per pagare tasse e imposte (più precisamente, per ridurre i pagamenti altrimenti dovuti). La definizione di “moneta”, tuttavia, non è del tutto appropriata: si tratta di titoli che, pur essendo espressi in euro, non sono “legal tender” nel territorio dell’Unione Monetaria Europea. Il monopolio nell’emissione di euro, di “legal tender” appunto, rimarrebbe una prerogativa della BCE.
Se non sono moneta legale, i CCF non sono peraltro neanche debito: lo stato emittente si impegna ad accettarli a fronte di riduzioni di pagamenti altrimenti ad esso dovuti, ma non – in nessun caso e in nessuna circostanza – a rimborsarli in euro.
I CCF non sono, quindi, né moneta legale né debito. Sono titoli che incorporano un diritto patrimoniale, e hanno un valore che deriva da tale diritto.
I CCF possono essere concepiti e posti in atto secondo varie modalità tecniche. Qui di seguito si fa riferimento all’impostazione proposta in due libri recentemente pubblicati sul tema (“La soluzione per l’euro – 200 miliardi per rimettere in moto l’economia italiana”, di Marco Cattaneo e Giovanni Zibordi, prefazione di Warren Mosler e introduzione di Biagio Bossone, ed. Hoepli 2014; e l’ebook “Per una moneta fiscale gratuita – come uscire dall’austerità senza spaccare l’euro”, a cura di Biagio Bossone, Marco Cattaneo, Enrico Grazzini e Stefano Sylos Labini, prefazione di Luciano Gallino, ed. Micromega 2015). Molti altri elementi, analisi, articoli e commenti sul tema sono disponibili sul blog“Basta con l’Eurocrisi”, a cura di Marco Cattaneo.
La proposta CCF è stata anche ampiamente illustrata e commentata in un recente rapporto dell’ufficio studi di Mediobanca Securities (“Tide Turns as Recovery Starts”, novembre 2015).
Nei testi sopracitati, i CCF sono concepiti in forma di titoli utilizzabili due anni dopo l’emissione. In pratica, il possessore di un CCF emesso (ad esempio) il 30 giugno 2016 potrà utilizzarlo, illimitatamente, per ridurre pagamenti altrimenti dovuti (per tasse, imposte o a qualsiasi altro titolo) alla pubblica amministrazione italiana in qualsiasi data a partire dal 30 giugno 2018.
Il differimento di due anni serve a evitare che l’utilizzo dei CCF riduca gli incassi dello stato emittente prima che gli effetti espansivi sulla domanda abbiano potuto creare maggior PIL e quindi maggiori incassi fiscali compensativi.
I CCF sono titoli liberamente negoziabili: il diritto allo sgravio fiscale si trasferisce insieme al titolo. Essendo utilizzabili due anni dopo l’emissione, i CCF avranno un prezzo di mercato un po’ più basso del loro importo facciale (ma tenderanno ad avvicinarsi alla pari con l’approssimarsi della data di utilizzo). E’ presumibile che il loro valore corrisponda a quello di un titolo di Stato zero-coupon di pari scadenza.
La proposta è che lo stato italiano emetta, annualmente, un determinato quantitativo di CCF e li utilizzi per una pluralità di fini, tra i quali principalmente:
1) Incremento del potere d’acquisto dei lavoratori a basso reddito, mediante assegnazione di CCF (in pratica, qualcosa di simile agli 80 euro di Renzi potrebbe essere erogato sotto forma di CCF).
2) Riduzione dei costi effettivi lordi di lavoro delle azione: a fronte dei pagamenti per costi di lavoro, tasse e contributi (che continuerebbero a essere versati in euro) ogni datore di lavoro riceverebbe CCF in una percentuale prestabilita.
3) Altre azioni di sostegno della domanda: integrazioni pensionistiche, sussidi di disoccupazione, investimenti pubblici, lavori di pubblica utilità, azioni di politica industriale ecc. Tutte queste iniziative potrebbero essere attivate (o rafforzate), in parte o totalmente, mediante assegnazione di CCF.
L’economia italiana potrebbe quindi conseguire, contemporaneamente, significativi risultati in termini di:
– Rafforzamento della domanda interna;
– Miglioramento della competitività delle aziende (grazie alla riduzione dei costi di lavoro lordi effettivi), evitando quindi che la spinta sulla domanda si traduca nella formazione di squilibri nei saldi commerciali esteri.
Tutto ciò, avverrebbe senza che l’Italia incrementi l’indebitamento da rimborsare in euro, e quindi rispettando la necessità di conseguire una progressiva riduzione del debito che può creare rischi di default e (conseguentemente) di instabilità finanziaria. Per sua natura, un Certificato di Credito Fiscale è un impegno che non comporta obbligazione di rimborso. Di conseguenza, lo Stato emittente non può, in nessuna circostanza, essere costretto al default su un CCF (non è un titolo da rimborsare in euro, e quindi non sussiste il problema di avere o non avere le disponibilità finanziarie con cui rimborsarlo).
Nello stesso tempo, non si verificherebbe nessun incremento di “legal tender”, di moneta che può essere utilizzata per estinguere obbligazioni finanziarie in tutto il territorio dell’Eurozona. Non posso utilizzare CCF italiani per pagare imposte in Belgio, o per effettuare acquisti in un supermercato francese, o per estinguere un debito verso un fornitore tedesco (salvo che la controparte li accetti sulla base del loro valore di mercato, cosa che potrà decidere di fare – ma senza esserne in alcun modo obbligato).
In pratica, i CCF nazionali ripristinano il livello di flessibilità che esisteva con il precedente regime di monete nazionali, senza tuttavia passare per la “rottura” dell’euro e senza violare il monopolio di emissione di moneta “legal tender” (che resta in capo alla BCE).
Ancora sulla natura non debitoria dei CCF
La legge di stabilità 2016 prevede un meccanismo di “superammortamento” per incentivare gli investimenti aziendali: in pratica, le aziende che investono in beni produttivi possono ammortizzare, con validità fiscale, l’importo dell’acquisto maggiorato del 40%.
Naturalmente, il risparmio d’imposta consentito dai maggiori ammortamenti non è debito pubblico, e nessuno si sognerebbe di affermare il contrario. È soltanto un elemento di cui tenere conto nel prevedere le future entrate fiscali (come anche andrà tenuto conto dell’effetto espansivo prodotto dai maggiori investimenti su PIL e gettito).
Ora, se il risparmio d’imposta prendesse la forma di un titolo trasferibile e negoziabile (un CCF) il provvedimento avrebbe con ogni probabilità maggiore efficacia grazie:
– alla possibilità, per le aziende, di monetizzare in anticipo il vantaggio fiscale, cedendolo a terzi prima della data di utilizzabilità;
– al fatto che i CCF avrebbero sempre e comunque un valore, mentre l’ammortamento è utilizzabile solo se l’azienda che effettua l’investimento realizza utili sufficienti. Chi non è certo di conseguirli è riluttante a investire, “superammortamento” o no.
È tuttavia importante notare che, se il risparmio futuro prodotto dal “superammortamento” non può essere considerato debito pubblico, non c’è nessuna logica che lo diventi per il fatto di “incorporarlo” in un titolo e di renderlo cedibile.
Qualcuno potrebbe obiettare che il “superammortamento” potrebbe non essere in pratica sfruttato (per carenza di redditività dell’azienda che effettua l’investimento) mentre il CCF finirà senz’altro per esserlo. Ma se la differenza fosse solo quella, il vantaggio fiscale connesso al “superammortamento” dovrebbe essere considerato debito, al netto di una stima plausibile e prudenziale della quota che potrebbe finire per non risultare utilizzata.
Il punto è che i crediti d’imposta a utilizzo futuro influiscono sulle previsioni di gettito (insieme peraltro ai benefici prodotti dalla maggior crescita del PIL e, conseguentemente, delle entrate fiscali). Ma non possono essere considerati parte del debito odierno.
I CCF consentono di raggiungere le finalità del Fiscal Compact e gli obiettivi dell’Eurosistema
L’Eurosistema è impostato sul concetto che la BCE garantisca i debiti pubblici dei vari Paesi, purché s’impegnino al pareggio di bilancio e a ridurre il rapporto debito / PIL. Questo equivale a dire che la BCE garantisce gli attuali livelli di debito, purché non si incrementino.
Non essendo i CCF debito da rimborsare (lo Stato emittente si impegna solo ad accettarli a riduzione di pagamenti futuri), nessuna garanzia è richiesta alla BCE: il valore dei CCF è assicurato dall’impegno di accettazione dello Stato.
L’introduzione dei CCF integrata con un sistema di “clausole di salvaguardia non procicliche” (vedi sezione successiva) assicura la possibilità di effettuare azioni espansive della domanda aggregata, senza che le garanzie da fornire (da parte della BCE e dell’Eurosistema) si incrementino.
Tutto ciò risolve le attuali disfunzionalità dell’Eurosistema senza rompere la moneta unica, e senza che l’Italia debba chiedere maggiori garanzie o sostegni finanziari a nessuno.
Clausole di salvaguardia per assicurare il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica
Le proiezioni macroeconomiche esposte nella seconda parte del presente articolo mostrano sotto quali condizioni l’utilizzo dei CCF può accelerare considerevolmente la ripresa dell’economia italiana e, nello stesso tempo, assicurare una rapida riduzione del rapporto debito pubblico / PIL.
L’introduzione dei CCF può essere integrata, peraltro, da un sistema di “clausole di salvaguardia” che assicurano il rispetto dei vincoli di finanza pubblica anche nell’eventualità in cui l’evoluzione della congiuntura economica italiana sia, in determinati anni, peggiore del previsto.
Il concetto delle clausole di salvaguardia è, oggi, adottato nelle interazioni tra governi e Commissione Europea, nel senso che frequentemente si richiede a uno Stato di attuare azioni compensative se un determinato obiettivo (per esempio) di deficit pubblico rischia di non essere conseguito.
Il problema è che queste azioni compensative hanno un impatto prociclico. Essenzialmente consistono in tagli di spesa pubblica e/o in inasprimenti fiscali. Nel momento in cui vengono applicati a fronte di una situazione di debolezza congiunturale, si avvia un circolo vizioso: le azioni restrittive comprimono ulteriormente la domanda, il PIL cala più del previsto e il gettito fiscale anche, vanificando parzialmente o totalmente i benefici sul deficit che le clausole di salvaguardia avrebbero dovuto produrre. Il riequilibrio della finanza pubblica, quindi, viene conseguito (se viene conseguito) solo a prezzo di effetti pesantemente negativi su PIL e occupazione.
L’introduzione dello strumento CCF permette, al contrario, un’applicazione non prociclica delle clausole di salvaguardia. Per esempio, invece di effettuare tagli puri e semplici, determinate spese possono essere sostenute mediante assegnazione di CCF. Oppure, invece di inasprimenti fiscali, possono essere introdotte imposte che prevedono l’assegnazione di CCF ai contribuenti a fronte del pagamento di euro. Si tratterebbe in effetti non di imposizione fiscale ma di conversione forzata di euro in CCF.
Se un’azienda o un cittadino deve effettuare un maggior pagamento fiscale in euro, oppure perde incassi in euro a causa di tagli di spesa pubblica, ma in entrambi i casi a titolo di compensazione gli vengono assegnati CCF (negoziabili e monetizzabili sul mercato), non si trova a subire un danno né patrimoniale né finanziario.
Lo strumento CCF consente inoltre di attuare azioni che possono dare ulteriori importanti contributi al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica. Ad esempio, si può dare al titolare di CCF l’opzione di differirne l’utilizzo, a fronte di un incremento del loro valore facciale in funzione del tempo di differimento (in pratica, un tasso d’interesse riconosciuto sotto forma di maggiore “moneta fiscale”). In questo modo, in situazioni di debolezza congiunturale è possibile ridurre la quantità di CCF che vengono utilizzati, spostando l’utilizzo in avanti nel tempo. Questo aumenta gli incassi fiscali netti in euro nell’anno “debole” (a fronte di una riduzione futura, in periodi che si prevedono più forti sul piano congiunturale).
Un’altra possibilità è collocare sul mercato (in cambio di euro) titoli fiscali: in buona sostanza, CCF di lunga durata, che danno diritto a sgravi fiscali sulla base di scadenze prestabilite. Ciò sposta in avanti nel tempo il fabbisogno di euro per necessità di rimborso del debito pubblico in scadenza.
Il punto chiave è che la disponibilità dello strumento CCF dà allo Stato che li emette enormi margini di flessibilità per gestire le sue esigenze di politica economica in chiave non prociclica, rispettando nello stesso tempo il principio di contenere i livelli di deficit e di debito pubblico da rimborsare in euro, e di ridurre progressivamente quest’ultimo in rapporto al PIL.
Equivale a dire agli altri membri dell’Eurozona: il debito e gli euro in circolazione non si incrementeranno mai oltre i livelli concordati; esigenze specifiche dei singoli Paesi verranno gestite mediante un “succedaneo monetario” a utilizzo interno al Paese stesso. Questo “succedaneo monetario”, il CCF, sarà denominato in euro e avrà un valore di mercato “agganciato” all’euro, ma non avrà natura debitoria e non produrrà quindi potenziali tensioni finanziarie connesse a rischi di default.






2. COME SI ESCE DALLA CRISI? LE PROPOSTE DI ECONOMISTI E INVESTITORI CHE LA PENSANO FUORI DAL COMUNE

Stampare moneta fiscale per creare le basi per una crescita economica del Paese. L'Italia ha ceduto la sovranità monetaria alla Banca centrale europea ma tecnicamente nessuno le vieta di poter ricorrere a strumenti di sovranità monetaria alternativi, come quello dei certificati di credito fiscali (Ccf), una nuova tipologia di titoli di Stato proposti da Marco Cattaneo, presidente di Cpi private equity, tradotti anche in un disegno di legge che però al momento è arenato. I dettagli verrano illustrati nel libro - scritto con Giovanni Zibordi - in uscita ad ottobre "Una soluzione per l'euro" (Hoepli).
Come funzionano? "Verrebbero assegnati a tutti i lavoratori (dipendenti e autonomi, pubblici e privati) e a tutte le aziende". In che misura? Un lavoratore dipendente con un reddito mensile, per esempio, di 2.000 euro riceverà in aggiunta un'assegnazione gratuita di CCF per un valore facciale di 400 euro al mese. Per i redditi alti la percentuale diminuirà (sulla base di un meccanismo a scaglioni)".E per i datori di lavoro ? "A causa del cuneo fiscale, il dipendente di cui all'esempio precedente, che percepisce 2.000 euro netti al mese, ne costa all'azienda 4.000. Bene, anche il datore di lavoro percepirà CCF per il 20% - in questo caso del costo lordo, quindi 800. Anche qui la percentuale diminuirà via via che aumenta il reddito del dipendente". Che cosa è possibile fare con i Ccf? "A partire da due anni dopo la loro emissione, possono essere usati per pagare qualsiasi tipo di somma dovuta allo stato: imposte sul reddito, Iva, Imu, ticket sanitari, contributi previdenziali, multe, tutto. Per esempio il governo colloca in borsa una tranche di azioni Eni ? voglio comprarne per 10.000 euro ? utilizzo Ccf, per 10.000 di valore facciale".
Perché l'utilizzo è differto di due anni? "Perché, nel momento dell'utilizzo, i Ccf a parità di condizioni riducono gli euro incassati dallo Stato italiano. Il differimento dà all'economia italiana il tempo di ottenere un significativo recupero di Pil, e quindi anche di entrate fiscali, compensando così l'effetto dell'utilizzo dei Ccf quando giungeranno a maturazione". Quindi aziende e lavoratori riceveranno gratuitamente un considerevole importo di Ccf, in pratica di moneta utilizzabile due anni dopo l'assegnazione originaria.
Quali saranno gli importi totali assegnati? "Circa 80 miliardi alle aziende private e 70 ai lavoratori. C'è spazio inoltre per emetterne altri 50 che potranno essere utilizzati per finalità varie: ad esempio opere di pubblica utilità, o accelerazione del rimborso di pagamenti scaduti dovuti dallo Stato alle aziende". Come è arrivato a tale composizione? "La composizione esatta sarà il frutto di decisioni politiche. E' però fondamentale l'ordine di grandezza destinato alle aziende oerché occorre riallineare il costo del lavoro per unità di prodotto italiano a quello dei membri più efficienti dell'eurozona, in particolare della Germania. 80 miliardi sono il 18% circa dei costi di lavoro delle aziende private italiane"
Che cosa ne faranno? "Chi non avrà esigenze finanziarie immediate, potrà mantenerli come forma di risparmio addizionale. Altrimenti potranno essere monetizzati in anticipo". In che modo ? "Si svilupperà un attivo mercato finanziario, in quanto i Ccf sono un ulteriore categoria di titoli di Stato. La monetizzazione anticipata comporterà uno sconto finanziario, probabilmente simile a quello di un BoT a due anni". Ma i Ccf emessi non sono un incremento del debito pubblico ? "No, in quanto non sono affatto debito. Lo Stato italiano li accetterà in pagamento di imposte e altre obbligazioni finanziarie nei suoi confronti, ma non dovrà mai rimborsarli. Sono una forma di moneta nazionale".
È un progetto che può piacere, per esempio, alla Germania ? "Rispetto a tutte le altre ipotesi formulate per risolvere i problemi strutturali dell'euro, alla Germania non si chiede nulla. Nessuna sovvenzione. Nessun trasferimento. Nessuna unione fiscale o di bilancio. Niente eurobond. Nessuna svalutazione dei crediti che i tedeschi hanno accumulato in questi anni. Si evita la deflagrazione dell'euro, a seguito della quale la Germania subirebbe un'improvvisa rivalutazione della moneta che utilizza. Ma nemmeno si richiede alla Germania un rapido incremento delle sue retribuzioni (ipotesi formulata da Krugman, ma inaccettabile per i tedeschi nella misura che sarebbe necessaria)".
Ma allora i trattati - per esempio, il fiscal compact – andrebbero modificati ? "Il fiscal compact impone un percorso accelerato di riduzione del rapporto debito pubblico / Pil. Per l'Italia, in particolare, si tratta di obiettivi totalmente irrealistici. Richiederebbero manovre fiscali pesantissime che abbatterebbero ulteriormente il Pil, e tra l'altro impedirebbero di conseguire la riduzione del rapporto debito / Pil. D'altra parte sono stati concepiti su istanza dei paesi dell'ex area marco, che temono di doversi far carico dei debiti di uno o più paesi del sud. Il progetto Ccf produce una forte ripresa economica dei paesi che lo adottano, quindi elimina questo rischio".
Marco Cattaneo







3. CERTIFICATI DI CREDITO PER IL CUNEO

La crisi nasce dalle differenze di costi e produttività tra Nord e Sud d'Europa. Dal 1999 si è poco a poco creato un delta del 20-25%. Ma il gap di produttività, formato in tredici anni, non è colmabile in uno o due. Le retribuzioni sono vischiose: i contratti non sono modificabili prima di date scadenze, varie categorie protette bloccano riduzioni forti in tempi brevi. Non solo. Insieme ai costi, calano i redditi. Si blocca il sistema bancario: è difficile dare credito a clienti in calo di reddito lordo e ancor più (date le maggiori tasse) di reddito disponibile e risparmio.
Parte un circolo vizioso: meno redditi e consumi, più tasse, meno risparmio, credito e produzione. Nonostante le maggiori aliquote d'imposta, il calo del Pil ostacola fortemente la riduzione del rapporto debito pubblico/Pil.
Nei Paesi in difficoltà le tradizionali leve macroeconomiche sono oggi inefficaci. È bloccata la leva fiscale: maggiori spese pubbliche e riduzioni di imposte non sono finanziabili, se non a tassi troppo onerosi. Anzi proprio per tenere sotto controllo il debito le politiche fiscali sono restrittive. È bloccata la leva monetaria: in un'economia depressa è possibile espandere la circolazione monetaria senza seri impatti inflattivi. Ma l'Eurozona include Paesi in difficoltà e Paesi vicini al pieno impiego: un aumento di circolazione produrrebbe inflazione al nord.
Come strumento di rilancio si propongono i Ccf (Certificati di Credito Fiscale). Essi
- verrebbero erogati a residenti del Paese emittente;
- sono utilizzabili non subito, bensì in un futuro prossimo (es. due anni dopo l'emissione) per pagare tasse o altri oneri dovuti allo stato emittente;


- sono negoziabili dal percettore in anticipo rispetto alla data di utilizzabilità. La monetizzazione avverrà con uno sconto di mercato (es. 5% annuo) che si avvicinerà a zero con l'approssimarsi dell'utilizzo.
In primo luogo i Ccf saranno erogati a lavoratori e imprese per ridurre l'impatto dei contributi sociali (il cuneo fiscale). In Italia i costi di lavoro totali 2012 sono stimati in 985 miliardi (818 nel settore privato, 167 nel pubblico), i contributi in 216. Si propone di erogare Ccf pari al 70% dei contributi (salvo quelli pagati da datori di lavoro pubblici: sarebbe una partita di giro).
Occupati e datori di lavoro versano i contributi in euro come oggi (quindi nessun deficit di cassa per lo Stato). L'onere è però ridotto dall'erogazione a loro favore di Ccf. Le erogazioni annue di Ccf sarebbero 134 miliardi, il che abbatte del 16% il costo del lavoro nel settore privato a parità di reddito netto (non si considera il settore pubblico, che produce per lo più servizi non soggetti a import-export). Questo attenua fortemente la differenza di costo del lavoro per unità di prodotto tra Italia e Germania (20% circa) e quindi la causa della crisi: l'impossibilità di compensarla variando i cambi.
Per esempio, un dipendente con retribuzione di 50mila euro annui ne percepisce (al netto di tasse e contributi) 32mila; il costo totale per l'azienda è 61.500. I Ccf aumentano il reddito netto di 2.800 euro e riducono il costo azienda di 5.600 euro.
Un ulteriore utilizzo può essere il sostegno alle fasce di popolazione disagiate. Per esempio Ccf per 21 miliardi erogati alla metà della popolazione (30 milioni) in posizione economica più debole: 700 euro annui a persona (2.800 per famiglia di quattro persone). Ciò finché l'economia non torna alla normalità, per esempio due anni.
In questo modo i Ccf cambiano lo scenario. L'intervento vale 155 miliardi, 10% del Pil, implica maggiori redditi e capacità di spesa, e riduce il costo del lavoro. È plausibile un recupero del Pil di pari ordine di grandezza, che lo riporta al suo livello potenziale. Se l'effetto è distribuito su tre anni, a fine 2015 il rapporto debito/Pil cala a 106%. Miglioramento ancora più rilevante perché ottenuto non in un contesto depresso, bensì di produzione e occupazione in crescita.
I Ccf rendono virtuosa l'austerità. Maggiori tasse e minore spesa riducono domanda e produzione. L'austerità migliora il deficit pubblico a parità di reddito ma comprime quest'ultimo. I due effetti in larga parte si elidono; e alla finanza pubblica in difficoltà si aggiunge la caduta di Pil e consumi.
Con i Ccf a fronte del drenaggio di euro lo Stato eroga un'attività finanziaria ed evita la caduta di redditi e ricchezza; o se è già avvenuta (com'è oggi) li rilancia. L'austerità permette di raccogliere euro e consolidare le finanze pubbliche, mentre l'erogazione di Ccf evita la depressione del Pil.
I Ccf saranno poi utilizzati nel futuro prossimo (due anni) per pagamenti allo Stato: matureranno quando la ripresa avrà prodotto una significativa crescita del gettito, compensando l'utilizzo dei Ccf.
Marco Cattaneo è presidente di Cpi Private Equity 


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