di Alberto Neri
Licenziare i furbetti del
cartellino fa ripartire l’economia? Messa così la questione, viene da
sorridere, perché licenziare altre persone oltre a quelle che perdono il lavoro
nell’industria e nei servizi, non sembra una gran trovata per dare ossigeno
alla società italiana. Eppure c’è chi parla di questo, di “rendere efficiente”
la pubblica amministrazione, come della “riforma” necessaria di cui tutta
l’economia italiana si gioverà.
E questo ricorda la “riforma” del lavoro, job
act e tutta la legislazione che in questi anni ha favorito licenziamenti e
precariato nel lavoro; anche di questa si dice che deve ridare competitività
alle merci italiane, al prezzo di deflazione salariale, crollo della domanda
interna e conseguente chiusura di aziende, con altra disoccupazione e povertà;
e ricorda anche la “riforma” delle pensioni con il bel risultato di “esodati”,
pensioni negate a chi ne avrebbe diritto, e ulteriore ostacolo ai giovani per
entrare nel mondo del lavoro.
Nell’amministrazione pubblica si devono ormai
fare nozze con i fichi secchi, con la drastica riduzione di personale nella
sanità come nella giustizia e nella scuola, i salari delle imprese private non
vengono adeguati da decenni al costo della vita e all’incremento dei profitti,
la garanzia pensionistica viene ridotta ogni anno, e la spesa pubblica da oltre
vent’anni è inferiore a quanto lo Stato incassa con la tassazione (dati Istat,
guardare per credere). Non è un sospetto ma una certezza: ridurre i servizi
pubblici e in generale le garanzie statali, serve ad aprire il varco ai
privati, ai grossi gruppi bancario-assicurativi che non vedono l’ora di mettere
le mani sui miliardi di euro del welfare nazionale.
A questo proposito
Giuliano Gallino, eminente sociologo recentemente scomparso, in “Colpo di Stato
di Banche e Governi” ed. Einaudi 2013, a pag 204, sostiene che lo scopo è
l’attacco alla democrazia sociale europea, costruita nel trentennio dopo la
guerra. La quota di bilancio dei Paesi europei dedicata ai servizi pubblici e
alla protezione sociale, il 25 % del Pil circa, corrisponde a circa 3800 mld di
euro l’anno; provenendo in gran parte da contributi dei lavoratori e delle
imprese, oltre che dalla fiscalità generale, rappresenta un appetitoso
“bottino” per la classe dominante, da drenare e indirizzare verso banche,
assicurazioni e imprese private; nella stessa direzione e con la stessa
finalità va anche la progressiva privatizzazione dei servizi pubblici, scuola,
sanità, trasporti ecc. Gallino dice
esplicitamente che tali politiche di smantellamento della democrazia sociale in
Europa, causeranno e già stanno causando, l’esclusione dai suoi benefici di
decine di milioni di persone.
Ma democrazia e giustizia sociale non sono certo un problema per i
furbetti delle privatizzazioni.
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