Costituzione e Trattati Europei. Ne parliamo con Marco Mori

Intervista all'Avv. Marco Mori
di Claudio Pisapia

Tutte le grandi questioni, quelle che incidono sulla vita di noi cittadini, meritano i dovuti approfondimenti. La stampa e la televisione dovrebbero rappresentare il luogo dove tali questioni trovano naturale sfogo affinché le informazioni arrivino a tutti cittadini che saranno poi chiamati ad esprimere la loro volontà. Quest’anno saremo chiamati ad esprimerci in merito a due questioni, se continuare ad autorizzare le trivellazioni, cioè continuare ad estrarre gas e petrolio entro le 12 miglia marine il 17 aprile ed intervenire in merito alle riforme costituzionali volute dal nostro Presidente del Consiglio e dal  Ministro Boschi, a seconda di come andrà il voto alla Camera in aprile, anche se Renzi ha dichiarato di volere in ogni caso il referendum, quindi l’approvazione popolare.
Sono decisioni importanti che presuppongono un ampio dibattito, è necessario farsi un’idea, perché su argomenti di tale portata le opinioni possono essere diverse e tutte meriterebbero ampio spazio. E’ necessario appropriarsi (o riappropriarsi) della capacità e voglia di partecipazione e pretendere che le grandi questioni tornino a far parte del nostro patrimonio dialettico e che la partecipazione sia parte della nostra vita quotidiana. Forse ci sono momenti di democrazia in uno Stato talmente evidenti e conclamati nei quali possiamo permetterci di distrarci e lasciar fare ai nostri Rappresentanti, ma non mi sembra questo il momento. E allora diamoci da fare, partecipiamo, studiamo ed interveniamo per colmare quegli spazi asimmetrici che stanno diventando troppo ampi tra il cittadino e le decisioni politiche.


L’Avv. Marco Mori esercita la sua professione prevalentemente sul foro di Genova. E’ uno studioso della Costituzione e dei trattati internazionali nonché promotore di varie iniziative a tutela dei diritti dei cittadini ma si occupa anche di economia partendo sempre dai bisogni comuni, tenendo presente che legislazione ed economia devono lavorare per il bene supremo dell’interesse pubblico.
Lo abbiamo intervistato perché a febbraio di quest’anno ha pubblicato un libro “Il tramonto della democrazia. Analisi giuridica della genesi di una dittatura europea” che parla della genesi della Costituzione Italiana, spaziando dalle opinioni dei Padri Costituenti al modello economico che questi si prefiggevano per la futura Nazione, dall’analisi dei trattati europei alle implicazioni della loro introduzione nella legislazione italiana non solo da un punto di vista giuridico ma anche di aspettative e impatto sulla nostra vita quotidiana.
E’ quello che si può definire un “bel libro” da non farsi mancare nella libreria personale.
Marco, il tuo libro parla di Costituzione, di diritto e di diritti a tratti violati, ma non è solo per addetti ai lavori. Io l’ho letto di getto, quasi di corsa. Una mia amica insiste nel dirmi che in questo libro c’è della poesia, cosa ne pensi?
Intanto grazie, grazie di cuore. lo scopo era quello di consentire anche ai non addetti ai lavori di comprendere profondamente le fondamenta dei valori su cui si basa la nostra democrazia per poi confrontarli a quelli, diametralmente opposti, alla base della dittatura europea. I verbali dell'Assemblea Costituente effettivamente hanno un qualcosa di poetico, esprimono i massimi valori di cui la società umana è stata capace, troppo elevato il pensiero dei fondatori rispetto alla nullità culturale dell'attuale classe politica.

Tu riporti i verbali che raccontano il percorso di stesura della Costituzione e li affianchi ai tuoi ragionamenti mettendo in contrasto il pensiero e gli intendimenti dei Padri Costituenti con l’introduzione dei Trattati europei. Perché li ritieni non il linea con il loro pensiero?
I verbali appunto parlano da soli. Il modello neoliberista, ovvero il fulcro dell'UE, non solo era stato cassato dai Costituenti, ma era unanimemente considerato come la causa della seconda guerra mondiale. Le violente crisi economiche provocate da un mercato senza regole furono il terreno fertile per la crescita dei nazionalismi ed il verificarsi della seconda guerra mondiale. Si voleva che lo Stato dunque controllasse, coordinasse e disciplinasse l'economia affinché l'egoismo umano non potesse mai contravvenire al pubblico interesse. 

Da un punto di vista giuridico perché i trattati europei sono in contrasto con il dettato Costituzionale?
A monte i Trattati sono cessioni a titolo definitivo di quote della nostra sovranità e dunque radicalmente incompatibili con gli artt. 1, 11 e 139 Cost. I Padri Fondatori, riaffermando la sovranità e l'indipendenza nazionale, acconsentirono unicamente alle limitazioni di sovranità necessarie, in condizioni di reciprocità tra le nazioni, all'adesione dell'Italia ad un ordinamento internazionale che assicurasse la pace e la giustizia. La norma era pensata unicamente per le Nazioni Unite, non contemplava minimamente le cessioni di sovranità in materia economica e monetaria compiute. Peraltro viene da se che una limitazione di sovranità è, a prescindere, qualcosa di molto diverso da una cessione, che anzi è un delitto contro la personalità dello Stato sanzionato dal codice penale vigente, artt. 241 e ss. c.p. Cedere sovranità significa conferire a terzi il potere d'imperio dello Stato spogliandosi della facoltà di esercitarlo. In ogni caso anche superata la polemica cessioni-limitazioni i trattati sono incostituzionali anche nel merito del loro contenuto concependo il trionfo di quel modello economico neoliberista cassato nella Costituzione del 1948 (artt. 41-47 Cost.), che non si fonda sull'assurdo concetto della competitività ma su quello della solidarietà economica, politica e sociale (art. 2 Cost.). Chiariamo infine, come specificato nel mio libro, che i principi fondamentali della Costituzione prevalgono sui trattati, come ribadito ancora nella recente sentenza della Corte Costituzionale n. 238/2014. 
 Ultimamente si parla molto di risparmio non tutelato da parte dello Stato. Anche qui la Costituzione aveva provveduto con l’Art. 47.
L'articolo 47 nasce in un contesto molto diverso da quello attuale. Se i Padri Fondatori avessero già avuto a disposizione l'attuale moneta fiat (moneta non legata all’oro n.d.a.) avrebbero sicuramente codificato la norma con ancora più chiarezza. Nonostante ciò l'art. 47 esprime due concetti fondamentali: l'obbligo di creare il risparmio e l'obbligo di coordinare, controllare e disciplinare il credito. La Repubblica dunque non può subire i capricci della finanza dovendo disporre della piena sovranità monetaria, oggi perduta in forza ai trattati, ed inoltre non può adottare il pareggio in bilancio. La creazione di risparmio infatti è possibile solo con politiche di deficit nel lungo periodo, spiego facilmente. Se uno Stato immette moneta nell'economia con la spesa pubblica, per creare risparmio diffuso e lasciare moneta nelle mani dei cittadini, dovrà tassare decisamente meno di quanto ha speso. La creazione di moneta telematica da parte delle banche commerciali non crea risparmio nel lungo periodo poiché ogni prestito va restituito maggiorato degli interessi. Le banche commerciali tamponano le politiche dello Stato opposte al dettato dell'art. 47 Cost., solo fino a quando aumentano il totale dei prestiti. Neppure le esportazioni possono consentirci di recuperare moneta all'infinito poiché presuppongono che le altre nazioni adottino politiche monetarie perennemente espansive. Se tutto il mondo esporta chi mai importerà? Forse i marziani? Il Governo Monti, oltre a distruggere l'economia nazionale demolendo volontariamente la domanda interna con politiche di recrudescenza fiscale, ha addirittura modificato l'art. 81 Cost. inserendo il pareggio in bilancio in Costituzione: per la prima volta nella storia abbiamo un contrasto evidente tra norme costituzionali, l'art. 47 e l'art. 81 sono tra loro opposti. L'inserimento del pareggio in bilancio in Costituzione è stato un vero attentato alla Costituzione anche perché con il pareggio lo Stato non può più perseguire la tutela dei diritti inviolabili della persona a partire dal lavoro.  
 Quando viene meno la sovranità territoriale si può ancora parlare di Stato?
No. I tre elementi indispensabili e fondanti di uno Stato sono il popolo, il territorio e la sovranità. Senza uno solo di essi lo Stato non esiste più. Oggi l'Italia, in virtù delle illecite cessioni di sovranità compiute non è più definibile con il termine Stato. 
 Dell’art. 243 del codice penale ne parli anche durante le tue conferenze. Di cosa si tratta?  E su questo articolo che si basa la denuncia presente sul tuo sito?
La denuncia si basa sul concetto, assai banale, che se si cede la sovranità si compie un delitto contro la personalità dello Stato. L'art. 241 c.p. che puniva pacificamente la menomazione dell'indipendenza e della sovranità è stato sorprendentemente modificato nel 2006. Oggi ai sensi di questa norma, per commettere reato, serve che la cessione di sovranità sia stata imposta con la violenza. Tuttavia la violenza è anche la coercizione, la crisi economica. E’ lo strumento con cui ci obbligano fisicamente a cedere sovranità, Monti lo ha dichiarato confessoriamente. Anche non aderendo a tale impostazione giuridica, in verità solo per ignoranza la si può non condividere, la punibilità delle cessioni di sovranità commesse con i trattati europei, sarebbe possibile comunque in forza dell'art. 243 c.p. Tale norma punisce anche i meri accordi (atti d'intelligenza), tra cui rientrano anche i trattati internazionali, diretti a compiere atti ostili contro lo Stato. La menomazione della sovranità è l'atto più ostile possibile contro la personalità giuridica dello Stato. Prima o poi dovrò mandare un disegnino esplicativo alla Procura della Repubblica di Roma, perché davvero non comprendo come possano omettere l'esame di questa denuncia. Evidentemente i media di regime hanno fatto un buon lavoro e disattivato la capacità critica anche di giuristi, che sul resto, sono certamente preparati.   
La nostra Costituzione è democratica, ma c’è ancora democrazia in Europa? E se mi risponderai di no, come presumo, in quali articoli è in contrasto questa scarsezza di democrazia europea con la piena democrazia espressa invece dal nostro dettato costituzionale?
La democrazia è tramontata. Non c'è più, proprio come dico nel libro. Oggi viviamo in una dittatura finanziaria, è l'ora che questo si comprenda, una nuova forma, decisamente più subdola ma altrettanto feroce, di totalitarismo. Già in ciò che ti ho detto prima si evince quali siano alcune delle norme violate, ma c'è di più. Il fulcro di una democrazia è il Parlamento, il luogo in cui i rappresentati del popolo legiferano nel dibattito e nel confronto, senza alcuna fretta peraltro. Ogni dittatura vuole svilire il ruolo del Parlamento per rafforzare quello dell'esecutivo, in una dittatura le leggi si scrivono lontano dalla volontà del popolo. In Italia, per prassi avallata da Presidenti della Repubblica inadeguati, si abusa costantemente dello strumento del decreto legge, non ricordando che l'attività legislativa del governo è addirittura vietata. Ai sensi dell'art. 77 Cost. "Il Governo non può, senza delegazione delle Camere emanare decreti aventi forza di legge". Eccezione è solo la decretazione d'urgenza che però aveva il paletto della straordinarietà dell'urgenza dell'evento giustificativo, nonché della successiva verifica del Parlamento. Ma oggi in Parlamento siedono i nominati delle segreterie di partito e dunque la conversione del decreto legge è atto imposto dall'esecutivo. Il Governo così usa il decreto d'urgenza per tutto, proprio perché non ostacolato dagli organi di garanzia istituzionali. Ma tornando alla domanda e dunque all'Europa, lì si è fatto peggio, si è addirittura tolto il potere legislativo al Parlamento, che agisce come un inutile Notaio in differita. L'iniziativa legislativa è propria della Commissione Europea, organo non eletto direttamente dai cittadini, e per legge assolutamente indipendente dalla politica che non può più intervenire. Sul punto se si leggono i verbali della Costituente sul ruolo del Parlamento viene davvero il magone, hanno vergognosamente tradito i milioni di caduti per la libertà.  
La nostra Costituzione dà centralità al Parlamento, le nuove riforme in atto vanno in una diversa direzione. Cosa ci guadagniamo o cosa ci perdiamo?
La riforma, di cui parla splendidamente l'Avv. Giuseppe Palma, nel libro "Figli Destituenti" che vi raccomando, tende proprio a rendere legale la prassi illegittima in corso subordinando definitivamente il potere legislativo all'esecutivo. Italicum, sommato all'abolizione del sistema bicamerale perfetto, accentrano i poteri sul partito che prenderà anche un solo voto in più degli altri. Chi è ampiamente minoranza relativa nel Paese legifererà a suo piacimento ed avrà il controllo degli organi di garanzia dello Stato mettendo una sua maggioranza in Corte Costituzionale e nominando, anche da solo, il Presidente della Repubblica. Neppure il fascismo, con la storica legge Acerbo, osò tanto. Basti pensare che almeno la legge elettorale fascista prevedeva il voto di preferenza. Tutto questo viene fatto perché l'esecutivo non incontri ostacoli da parte del Parlamento per approvare le leggi che, via via, Bruxelles commissionerà.
Nel libro scrivi, parafrasando un ex Presidente del Consiglio a cui hai dedicato il retro della copertina,  che le riforme si basano sulle crisi. Cosa vuol dire?
Come ti dicevo la sofferenza causata dalla crisi economica diventa così forte da convincere il popolo a fare le riforme ed in particolare a rinunciare a resistere a cedere sovranità, rinunciare al proprio senso di appartenenza. Questo è ciò che ebbe il coraggio di dichiarare espressamente Mario Monti, una frase di natura così eversiva da essere ancora oggi senza paragoni nella storia della Repubblica, malgrado anche Napolitano prima, e Mattarella poi, abbiano provato a porsi su livelli di illegalità molto vicini, parimenti invocando le cessioni di sovranità. 
In più occasioni scrivi della necessità dell’intervento e del controllo statale nell’economia, intendi una sorta di pianificazione di tipo sovietico?
Ti risponderò citando le piane parole dell'On. Ghidini che nel 1947 così rispose alla stessa domanda: "È possibile parlare di un progetto social-comunista quando si afferma all’articolo 38 che la proprietà privata è assicurata e garantita e all’articolo 39 che l’iniziativa privata è libera?
Non è dunque un progetto social-comunista. È vero che sono affermati vincoli e limiti al diritto di proprietà. Ci sono limiti, perché non si vuole che si formino delle grandi concentrazioni di proprietà che sottraggono all’iniziativa privata grandi strati di produttori e costituiscono a un tempo delle potenze economiche tali che, se anche potessero condurre ad un grado di produttività più elevato, portano altresì a quella potenza politica che, non avendo altro intento che il vantaggio patrimoniale privato, disconosce e travolge gli interessi materiali, morali e politici della collettività scatenando quelle conflagrazioni che ci hanno portato alla miseria attuale"
L'egoismo umano non punta al bene collettivo e dunque serve che la democrazia ne garantisca la giusta direzione. L'attuale sistema neoliberista, come il vecchio comunismo, sono i due estremi opposti, entrambi non possono funzionare. Il primo per i motivi già detti, il secondo perché senza il motore dell'egoismo, senza poter avere qualcosa in più di un altro, l'uomo non si darebbe da fare. Fermo restando che a livello morale il comunismo è certamente superiore al liberismo, il miglior modello, vista la natura umana, è esattamente quello voluto dai Padri Costituenti e codificato negli artt. 41-47 della Carta.
Io ha dato Diritto Costituzionale all’Università ma mi erano sfuggite tante considerazioni che invece tu fai nel tuo libro. Ci parli della lotta tra Keynes e neoliberismo nel dibattito dei Padri Costituenti e del perché vince l’idea Keynesiana?
L'idea Keynesiana è l'unica corretta. Il neoliberismo è solo un metodo di governo, funzionale al superamento della democrazia in favore delle oligarchie, una sorta di restaurazione mascherata da scienza. D'altronde, come ricordava Keynes in "autarchia economica", di imbecilli ed obnubilati che immaginano la società come la parodia dell'incubo del contabile è pieno il mondo. Non possiamo dotarci delle meraviglie di cui siamo tecnicamente capaci perché esse economicamente non rendono, meglio tenere i popoli nella disoccupazione, perché così la resa economica (per gli altri) è maggiore. In ogni caso la diatriba neoclassici-keynes da giurista mi appassiona molto poco: il modello Costituzionale ha sposato Keynes e dunque la Repubblica deve perseguire quel tipo di politiche senza se e senza ma. Sotto il piano empirico è comunque impossibile smentire il fatto che il modello neoliberista abbia causato la seconda guerra mondiale e che ovunque è applicato abbia generato, come ovvio, una graduale concentrazione della ricchezza nelle mani di un gruppo di persone sempre più piccolo a discapito di tutti gli altri. Oggi l'1% della popolazione mondiale detiene il 99% della ricchezza, negare l'evidenza comincia ad assomigliare sempre più ad un crimine contro l'umanità. Il neoliberismo, se mi passi una battuta, è quell'assurda teoria secondo la quale giocando a monopoli le partite dovrebbero finire sempre in pareggio...
 Quindi l’Italia dovrebbe essere Keynesiana. E l’Unione Europea che tipo di politica economica adotta?
L'Italia è "keynesiana", così dice la Costituzione. L'Unione Europea è neoliberista, antepone la stabilità dei prezzi, visto il combinato degli artt. 127 TFUE (Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea) e 3 TUE (Trattato Unione Europea), addirittura alla pace ed al benessere dei popoli! Il sistema europeo delle banche centrali si occupa degli obiettivi dell'art. 3 TUE, appunto pace e benessere, solo fatta salva la stabilità dei prezzi. Davvero: ma che vi serve ancora per capire? Siamo alla follia! Per non tacere della forte competitività tra consociati che assume a valore fondante, valore diametralmente in contrasto, come ho detto, con i nostri principi di solidarietà. Solo la solidarietà tende alla pace, la competizione è comunque conflitto, quando accade tra le nazioni poi finisce malissimo, porta sempre alla guerra.
Marco, ma uno Stato può fallire? O forse dovrei chiederti, quando uno Stato può fallire? Nel tuo libro troviamo interessanti considerazioni su questo aspetto.
Uno Stato non può fallire, lo ha ribadito anche l'ex Presidente della Corte Costituzionale Zagrebelsky. Il popolo di uno Stato può essere ricco o povero, ma lo Stato non può mai fallire perché può adempiere illimitatamente alle proprie obbligazioni pecuniarie emettendo la sua moneta. Il punto è che avendo ceduto la sovranità monetaria non siamo più uno Stato, in questa condizione ciò che rimane dell'ex Stato Italia, questo residuo di ordinamento, può effettivamente tecnicamente fallire. Trattasi dell'esempio più sconcertante di quel potere economico diventato così forte da schiacciare le democrazie, l'incubo di Ghidini e degli altri Padri Costituenti si è concretizzato. 
Riesci davvero a dare una visione molto ampia dei problemi e del funzionamento di uno Stato e dico non solo dal punto di vista giuridico, anche se la legge resta il filo conduttore dei tuoi ragionamenti. Parli anche delle tasse, perché mai le tasse trovano spazio nella nostra Costituzione nel Titolo IV tra i “rapporti politici”? cosa volevano dirci i Padri Costituenti?
Parafrasando ancora Keynes solo un imbecille affermerebbe che in uno Stato le tasse servono a pagare i servizi pubblici. Le tasse servono a fare politica, impongono la moneta, redistribuiscono il reddito e tutelano il risparmio impedendo che gli eventuali eccessi di emissione producano inflazione eccessiva. Le tasse si pagano solo perché lo Stato ha prima dato ai cittadini la moneta per pagarle, che altrimenti semplicemente non esisterebbe. Oggi le tasse pagano i servizi solo perché non siamo più uno Stato, abbiamo ceduto la sovranità, dobbiamo chiedere in prestito ai mercati ogni singolo euro utilizzato.  
 Mi è sembrato di capire che l’IVA non è tra le tue tasse preferite.
L'IVA è incostituzionale, resiste ancora solo perché la Corte non ha mai avuto coraggio di dire le cose come stanno, non ha mai preso di petto gli altri poteri dello Stato, nell'illusione che ci fosse una situazione di emergenza contabile, che in realtà non esiste più da quando la moneta è fiat (cioè dal 15 agosto 1971, quando il Presidente Nixon dichiarò non più validi gli accordi di Bretton Woods n.d.a.). L'art. 53 è chiaro: le tasse si pagano secondo la capacità contributiva e devono essere progressive. L'unico indice di capacità contributiva è il reddito e non come spendo ciò che ho guadagnato, la mia propensione al consumo non cambia la mia capacità contributiva. L'IVA poi, essendo un'imposta indiretta, è addirittura regressiva, incide percentualmente più sui redditi bassi che su quelli alti. Nonostante nel 1947 il sistema monetario fosse diverso da quello attuale i Padri Costituenti ebbero la lucidità di scolpire questi concetti nei verbali. Ci fu solo una concessione alle imposte indirette, di cui l'IVA è la principale quanto a gettito: in denegata ipotesi le imposte indirette furono ritenute ammissibili sui beni non necessari e di lusso. Queste furono le parole dell'On. Ruini. Se i Padri Costituenti avessero vissuto con le attuali regole monetaria tale concessione non avrebbe trovato spazio alcuno e l'indice di capacità contributiva sarebbe stato solo il reddito senza eccezioni. Peraltro quando la Corte Costituzionale, a partire dagli anni sessanta, avallò alcuni dei più odiosi tributi indiretti, il contesto era molto diverso da quello attuale e la pressione fiscale complessiva era drasticamente più bassa e l'Italia aveva la sua sovranità. Con il senno del poi la conseguenza di quell'errore in diritto della Corte ha avuto conseguenze gravissime visto che oggi per sostenere tale tesi in giudizio occorrerebbe prima convincere un Magistrato a criticare le precedenti sentenze della Corte Costituzionale, cosa assai complessa e rara, specie con il costante martellamento mediatico contro gli evasori fiscali. In ogni caso non è impossibile visto che la Corte può anche mutare un suo precedente indirizzo.
E allora che giudizio daresti all’aliquota unica proposta da qualche partito politico?
L'aliquota unica non è progressiva. Un meccanismo di detrazioni può renderla più progressiva, come ben ha spiegato Claudio Borghi (attualmente economista di riferimento della Lega Nord n.d.a.) , che peraltro stimo moltissimo, ma siamo comunque fuori dal rispetto dell'art. 53 Cost., ed in generale anche dei principi di uguaglianza e solidarietà politica, economica e sociale. Il limite dalla sua idea, sotto il profilo squisitamente giuridico, è proprio che al salire del reddito la progressività si attenua fino quasi a sparire e peraltro sparisce già a partire da redditi non così elevati. La curva fiscale deve essere più proporzionale, con più aliquote, ciò non toglie la possibilità, anzi il dovere, di abbassare drasticamente l'imposizione e soprattutto di togliere fin da subito le imposte indirette che esulino dall'interpretazione autentica dell'art. 53 Cost. e dunque che non siano su beni non necessari e di lusso. 
In questo libro, davvero molto intenso e ricco di spunti, trovano posto anche lo SME e il “divorzio” tra Ministero del Tesoro e Banca d’Italia.
Sono pezzi di storia. L'analisi non sarebbe stata completa senza. Maastricht arriva al culmine di un percorso, di una crisi economica causata da divorzio prima e SME poi. Nel libro ho riportato lo scambio epistolare tra Andreatta (allora Ministro del Tesoro) e Ciampi (governatore di Banca d'Italia) in integrale e poi la clamorosa dichiarazione di Andreatta a dieci anni dal divorzio in cui definì quanto compiuto una "congiura aperta". Sul punto vi rimando alla lettura perché è davvero la storia, la storia drammatica di come è iniziata la morte di uno Stato.
 Quali sono le riforme costituzionali in corso. E a cosa ci porteranno?
In sostanza ti ho già risposto. Consolideranno la dittatura, esattamente come il fascismo fece con la legge Acerbo. La differenza è che allora il regime voleva il potere, ma anche un'Italia forte. Si riaffermava la personalità dello Stato, oggi il governo vuole invece svenderci al capitale internazionale. Vogliono una sorta di governo di occupazione che esegua gli ordini di Bruxelles, ecco in cosa consiste questa deforma voluta da quelli che Giuseppe Palma chiama nel suo libro "Figli Destituenti".
Questi nuovi costituenti sono all’altezza del compito? Quelli del ’47 avevano creato delle commissioni, un’Assemblea, un grande dibattito a leggere i resoconti riportati nel tuo libro. Oggi come stanno procedendo?
Sono traditori della Repubblica, stanno commettendo atti eversivi. Trovo in loro un mix letale di malafede ed ignoranza, molti dimostrano davvero di non sapere quello che fanno. Questo ovviamente attenua la posizione sotto il profilo penale, ma non sposta nulla in merito ai gravi effetti del loro operato sul popolo italiano. Nel libro sono stato molto duro anche con la Corte Costituzionale che, di fatto, in collaborazione con Napolitano, ha impedito lo scioglimento di un Parlamento illegittimo che oggi sta mutando con arroganza inaudita la Costituzione. Peraltro sfido pubblicamente i Magistrati che hanno redatto la sentenza, una volta letto il libro, a confutare le mie argomentazioni giuridiche di aspra critica verso il loro operato. La Corte doveva dichiarare incostituzionale il porcellum, non doveva e non poteva fare politica salvando le Camere! Camere che oggi detengono abusivamente il potere politico, fatto ancora una volta punibile per il codice penale, ex art. 287 c.p. a prescindere da ciò che ha detto la Corte Costituzionale. 
L’ultima parte del libro è dedicata alle soluzioni. Inizi parlando di un piano industriale però riporti un tweet del nostro Presidente del Consiglio che ci sconforta parecchio “non tocca al governo fare piani industriali”. Chi li dovrebbe fare allora?
Nulla, il Governo non serve più a nulla, esegue solo ordini, gli ordini di Bruxelles. L'interessa nazionale non ci riguarda più. In condizioni normali il piano industriale è quanto di più importante debbano concepire gli eletti del popolo, sul punto è la sovranità popolare che dovrebbe trovare attuazione e non i voleri dei mercati.
 Le tue soluzioni, a volerle “raggruppare”, hanno in comune un aspetto fondamentale: l’interesse pubblico. Interessa a qualcuno l’interesse pubblico?

Interessa al popolo italiano, o meglio gli interesserebbe se avesse accesso alle informazioni necessarie per prendere atto della sua attuale condizione. Il lato furbissimo di questo nuovo totalitarismo è che non vediamo soldati o polizia per le strade a sottometterci, ciò che ci sottomette è nel nostro portafoglio, l'euro. Comprate e regalate il libro, capirete! Lo trovate prevalentemente sulla libreria on line ibs.it 

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